La crisi politica istituzionale che sta attraverso l’africa settentrionale, in particolar modo nei paesi che si affacciano sul mediterraneo, è sotto l’evidenza della cronaca quotidiana. In Libia, unico paese dove la rivoluzione democratica non ha avuto seguito, lo scontro armato tra il regime e i ribelli, è la trama su cui si rischia di cadere in una spirale di sangue sempre più vasta.
Il calcio però è riuscito laddove la mobilitazione mass-mediatica ha fallito. Il rapimento del premio Pulitzer Ghaith Abdul-Ahad, inviato del quotidiano britannico Guardian, era stato arrestato dalle autorità libiche il 2 marzo, prelevato dalla città costiera di Sabratha, insieme ad un corrispondente brasiliano.
Il ruolo chiave nella liberazione del giornalista iracheno, è stato svolto dall’ex calciatore del Perugia Alberto Di Chiara, perché nella sua permanenza umbra aveva conosciuto Saadi Gheddafi, terzogenito del Colonello. Alberto era stato contattato perché contattassi qualcuno dell’entourage di Gheddafi per chiedere la liberazione del giornalista. Di Chiara senza decide a questo punto di indirizzare una breve mail a Saadi, facendo appello ai valori di sportività che avevano condiviso, chiedendo di dare la libertà a un giornalista che stava solo facendo il suo lavoro, perché potesse tornare a riabbracciare la sua famiglia. Il calcio è stato più incisivo dell’itelligence e più efficace di una spia, ha evitato la morte di un innocente e il pretesto (almeno momentaneo) ad pericoloso braccio di ferro. In questa vicenda gli uomini del calcio sono stati i protagonisti di una delicatissima operazione diplimatica che è terminata a buon fine, regalandoci un soffio di speranza.
Alessandro D’Auria