Gianni, Franco, Paolo. Tre uomini, una storia rossonera e italiana, fatta di tanta Nazionale e di tantissimo Milan. Tre uomini che, nel bene e nel male, ma soprattutto nel bene hanno rappresentato il giocatore italiano tipo, fatto di carisma e sacrifico, di forza e di maturità, di ragione e di autorità. Tre ‘marchi’ per 50 anni di Milan e per 40 anni di Italia. Una staffetta quasi ininterrotta che ha regalato al calcio nostrano la possibilità di poterci vantare, la possibilità di poter sognare grazie e insieme a loro. Poche vittorie con la maglia azzurra, è vero, anzi solo una con il “Golden Boy”, ma se nell’immaginario collettivo mondiale questi nomi sono sempre ricorrenti, un motivo ci sarà. Ed è anche facile intuirlo, visto che all’unico acuto nazionale, corrispondono 56 urli di gioia rossoneri.
Gianni Rivera è il capostipite dei “Magnifici 3”: classe e stile al servizio della squadra. O meglio, quasi sempre al servizio. Perché i cali di tensione, i ‘gigioneggiamenti’ in campo non sono mai mancati, ma il “Golden Boy” non si discute. E in tanti non l’hanno mai discusso, se è vero che fu il primo italiano ad aggiudicarsi il prestigioso Pallone d’Oro nel 1969. Uomo squadra a tutto tondo, resta indimenticabile per i rossoneri di allora il giorno della conquista del tricolore numero 10, lo Scudetto della Stella. E’ il 6 maggio 1979, un anello di San Siro è inagibile, ma la foga dei tifosi già in festa potrebbe creare un vero disastro: il buon Gianni, microfono in mano, raggiunge il centro del campo e riesce, come il più funzionale e persuasivo degli imbonitori, a far rinsavire la platea. Col Bologna è 0-0, lo scudetto è matematico.
Franco Baresi è considerato da molti il milanista del secolo. Libero di ruolo, di testa, direttore d’orchestra di un gruppo unico ed irripetibile, di un reparto imperforabile. Se l’istantanea di Rivera con la maglia azzurra è quella pazza notte del 1970, in un Germania-Italia d’antologia, la Polaroid del “Kaiser” è quel pianto a dirotto dopo la finale con il Brasile: rigori fatali, ancora una volta, la coppa che sfuma e la sensazione di non poter più scrivere pagine importanti nel mondo del pallone. Ma poi arriva la Supercoppa Europea con l’Arsenal, l’ultimo scudetto di Capello e per il “6 nella storia” è la degna conclusione di una carriera irripetibile. Dalla B al “Risorgimento”, dai Campioni d’Italia ai Campioni di Tutto. Franco è il Milan, la storia, la dimostrazione più vivida del brutto anatroccolo che diventa cigno. Del ‘cugino’ povero che diventa leggenda.
Paolo Maldini, alziamoci in piedi. Paolo, come dire, è stato per i rossoneri di tre generazioni la ‘sicurezza’. La consapevolezza che, si vince o si perde, si esulta o ci si dispera, lui c’è. Pleonastico e grottescamente limitativo identificarlo come una semplice ‘presenza’, Paolo, “3 per sempre con te”, è stato regista di ogni successo rossonero. Prima il terzino irraggiungibile, poi il centrale saggio ed inattaccabile, leader come pochi anche in Nazionale, pur senza fortuna. Ha sempre dichiarato che non si sarebbe mai potuto immaginare di vivere una storia calcistica come quella che l’ha visto protagonista assoluto della scena mondiale. Riflessivo, taciturno, il rapporto con il cuore pulsante del tifo ha sempre mostrato delle difficoltà dovute, forse, a questa sua timidezza. Ma, mai come con Paolo, mettere in dubbio la sua figura è paragonabile ad una bestemmia di disamore nei confronti di questi colori.
“Questo è il Milan”, come recita il titolo della nostra pagina di tifo nudo e crudo su Facebook. E tutto nasce da loro, da uomini come loro, da gente che ha scritto pagine di storia bellissima, da leader che hanno colorato di rosso e di nero gran parte della loro gioventù. Se oggi noi tifosi siamo legati da un filo sottile di coscienza rossonera, se ci dichiariamo così innamorati di questo club tanto da passare ore e ore a tempestare un social network di parole e di foto che sprizzano passione, è grazie a giocatori come Gianni Rivera, Franco Baresi e Paolo Maldini. 50 anni di calcio, di Milan e di storia tutta italiana.