Passo dopo passo, trionfo dopo trionfo: una scansione perfetta della sua carriera al Milan. Andriy Shevchenko ha concesso una lunga ed emozionante intervista a “Forza Milan!”, la rivista ufficiale rossonera (numero di dicembre), dove ha lasciato parlare i ricordi e battere il cuore: “Qui mi sento a casa mia, circondato dall’affetto della gente. E’ una sensazione che mette i brividi, davvero speciale”.
Sheva lo scorso 31 ottobre è tornato a Milanello, il giorno prima era a San Siro per Milan-Lazio (1-1), per rivedere i suoi “vecchi” compagni ma soprattutto per incontrare Allegri, una tappa del suo percorso intrapreso per diventare presto allenatore: “Allenare il Milan? Non si può mai sapere che cosa riservi la vita…”. Da Zaccheroni al discorso alla Primavera rossonera: “All’inizio della mia carriera in rossonero (maggio 1999) sentì subito la vicinanza dei tifosi e fu fondamentale visto il grande cambiamento che avevo compiuto: mi hanno accolto tutti con simpatia. Le prime persone che conobbi furono Costacurta, Albertini, Ambrosini e Ba, mi hanno invitato ad una festa e io mi sono subito sentito in famiglia. Se l’ambientamento è stato veloce gran parte del merito va a Zaccheroni, mi ha dato un sacco di consigli tattici: ha modificato ed avvicinato alla porta la mia posizione in campo, alla Dinamo Kiev ero abituato a partire da più lontano e invece sono diventato una prima punta micidiale. Quando Inzaghi mi ha chiesto di tenere un discorso alla sua squadra mi ha riempito di gioia, mi ha colpito la sua stima nei miei confronti: ho sottolineato l’importanza della cultura del lavoro, che mi è stata insegnata. Per affermarsi a buoni livelli è necessario sacrificare la vita in campo e fuori: solo così, se hai le doti, puoi diventare simbolo ed esempio per i giovani”.
Sulla tripletta contro la Lazio (4-4) di 14 anni fa: “L’Olimpico mi è sempre piaciuto, per il pubblico caldo e la posta di atletica attorno al campo che mi ricordava i tempi in Ucraina: ho capito che avrei fatto bene fin dal riscaldamento”. Sul gol contro il Real Madrid nella seconda fase dei gironi di Champions 2002-2003 (1-0): “Arrivavo da un infortunio di due mesi, ero dispiaciuto e mi sentivo dietro di condizione, ma ancora legato ai miei compagni. Scesi in campo e Rui Costa mi disse: ‘Vai negli spazi che ti trovo io’. Detto, fatto: assist e rete, io negli uno contro uno non sbaglio”. Manchester, 28 maggio 2003: “La vittoria allo scadere contro l’Ajax ci ha reso consapevoli che potevamo arrivare fino in fondo: vincere così ti rende consapevole di essere forte. Quella sera venne esaltata la mia intesa con Inzaghi: si diceva che non potevamo coesistere, invece bastava solo di adattarsi a vicenda. Il problema era che prima mi facevo male io e poi lui, con Pippo c’era affetto e rispetto. Prima dei due derby europei c’era una tensione infinita, non è stato facile: mi ricorderò sempre il mio gol e la parata di polpaccio di Abbiati su Kallon”.
E poi la Juventus: “In finale quando toccava a me andare dal dischetto contro Buffon sapevo che ci volevano una freddezza e una calma straordinaria, mi ero promesso di aspettare la prima mossa di Gigi perché chi tira è sempre in vantaggio: sicuro, pieno di energia e poi la gioia con Dida. Alzare la Coppa vuole dire entrare nella storia del calcio, un momento unico e straordinario”. Sulla Supercoppa Europea successiva contro il Porto: “Diamo merito a Rui Costa per il cross, io sono salito in cielo e sono stato bravo a rubare il tempo ai due centrali. Abbiamo dominato e potevamo chiuderla prima”. Quindi, pallone d’Oro: “Un sogno, sono riuscito ad entrare nella memoria come i miei idoli ucraini Blochin e Belanov”. Stesso anno, ma Supercoppa Italiana: Sheva 3-Lazio 0. “Mi sentivo bene, la squadra volava: se non avrei fatto io quella tripletta ci avrebbe pensato un mio compagno”. Ma anche Istanbul 2005: “Non ci credo, ancora non ci credo che quel tiro non sia entrato! Quello era un bellissimo Milan, ma come ci sono momenti magnifici ci sono anche periodi così”.
Spazio, poi, alle medaglie di Sheva: “Maldini è stato il più grande difensore del mondo, un capitano vero che ha firmato la storia del Milan grazie alla sua professionalità. Un fuoriclasse che ha dato tutto al calcio. Siamo rimasti amici e ci sentiamo spesso, la nostra sintonia è ancora forte: gli auguro di avere un futuro importante nel suo mondo. Nesta è il giocatore che mi ha impressionato di più, per la semplicità del suo gioco unita ad un’attenzione formidabile e al senso dell’anticipo: un difensore enorme. Pirlo con Ancelotti è diventate il regista numero 1, una visione di gioco impressionante ed una precisione millimetrica anche in allenamento. Carlo rappresenta una figura indimenticabile per la mia vita professionale e privata, mi ha dato tantissimo. Continuiamo a sentirci a non ha ancora finito di darmi i giusti consigli. E’ stato allenatore e amico, una figura nuova: un piacere conoscerlo, un onore lavorarci insieme. Il mio Milan ha sempre avuto in rosa grandi uomini: mi piace ricordare Weah, Bierhoff e Leonardo, la loro vicinanza e i loro consigli sono stati preziosi”.